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         Scuola per cani da tartufo - Condensato dall'Illustrazione Italiana 
          - di Robert Littel  
          Marzo 1953 
        L'unica scuola al mondo per l'addestramento dei cani da tartufo è 
          nel piccolo villaggio di Roddi, in Piemonte. Qui il "Professor 
          Barot", il cui vero nome è Battista Monchiero, sa insegnare 
          a quasi tutti i cani a scoprire con l'odorato i tartufi bianchi, che 
          si vendono fino a 3000 lire l'etto. Quindi il misterioso fungo sotterraneo, 
          il Tuber Magnatum, è probabilmente il cibo più caro che 
          esista.  
          Il tartufo nero francese viene scoperto, ai piedi delle querce, da maiali. 
          Ma il maiale, a differenza del cane, ama il sapore dei tartufi e li 
          ingoia avidamente, cosicché avviene di solito gara di corsa tra 
          il maiale e il padrone per vedere chi s'impadronirà per primo 
          del tartufo.  
          Non esistono scuole per maiali da tartufo; e ci vuole tutta l'abilità, 
          la pazienza e la saggezza del settantaquattrenne Barot per insegnare 
          ai cani a mettersi alla cerca di una cosa di cui ad essi non importa 
          affatto.  
          Chi voglia visitare la scuola dovrà cominciare il proprio pellegrinaggio 
          al Grande Albergo Ristoreante Savona, ad Alba. I proprietari dell'Albergo 
          - la famiglia Morra, padre e figli - comprano, vendono, ammanniscono, 
          mangiano, inscatolano tartufi. Il Signor Giacomo Morra, un uomo anziano, 
          calvo e ossuto, dagli occhi scintillanti dietro gli occhiali cerchiati 
          d'acciaio, ci mostrò un tartufo d'eccezione, pronto ad essere 
          spedito per via aerea nell'Uruguay. Era un ammasso di protuberanze, 
          simili a radici, del colore della creta, una foorem incerta, più 
          o meno delle dimensioni di un pallone da calcio. Fummo ammessi a soppesarlo, 
          con reverenza, e a annusarlo.  
          L'odore di un tartufo bianco al naturale, anche se insrito all'aperto 
          dove non può accrescere la propria violenza stagnando nell'aria, 
          non suggerisce l'idea di festini. E' un odore di terra, di oscure profondità 
          che l'aratro non ha mai squarciato. Per tutti i benpensanti di Alba 
          è un odore che si associa all'idea di prosperità.  
          La pepita d'oro che fummo ammessi ad annusare pesava un chilo e due 
          etti. Dato che si trattava di un tartufo di prima qualità, sarebbe 
          costato 36.000 lire al proprietario del ristorante uruguayano che a 
          cui era destinato - ovvero, dopo essere stato affettato molte migliaia 
          di volte sopra svariate pietanze, cira una dozzina di lire per ogniuna 
          delle deliziose, indimenticabili fettine, dello spessore di un foglio 
          di carta e delle dimensioni di un francobollo espresso.  
          Guidati dal figlio del signor Morra, Mario, ci dirigemmo verso Roddi 
          attraverso una campagna dolcemente accesa dall'autunno, in mezzo a colline 
          che i vigneti striavano di bruno. Da secoli la gente di queste parti 
          ricerca i tartufi che crescono sotto le quece, gli olmi, i nocciuoli 
          e i pioppi. Nascono negli stessi posti ogni anno, e il segreto delle 
          buone zone di ricerca è trasmesso di padre in figlio. La gente 
          va a scovare questi tesori di soppiatto, la notte, con lanterne cieche 
          e cani silenziosi. 
          La strada principale di Roddi si arrampica a spirale fino alla cima 
          del colle e alle rovine smozzicate di un castello del Trecento. Nell'avvicinarci 
          udimmo cani abbaiare, e poco dopo ci trovammo di fronte l'aula scolastica 
          e dormitorio della singolare accademia canina del Professor Barot. Sotto 
          una tettoia all'aperto erano legati otto o dieci cani, piccoli, festosi, 
          bastardi.  
          "Ebbene questa è la scolaresca" disse il signor Morra 
          "e ora sta arrivando il corpo accademico." 
          Veniva verso di noi il Professor Barot, un ometto piccino dal viso piacevolmente 
          segnato come la corteccia di un bell'albero antico. Il suo sorriso era 
          quasi del tutto sdentato ma nei suoi occhi acquosi brillavano i tre 
          quarti di secolo ch'egli aveva trascorso con gli animali, la terra e 
          il cielo aperto. Con iul cappello nero, la giacca e il panciotto neri, 
          con i calzoni a righe nere a cui mancava un bottone, faceva pensare 
          a qualcuno che fosse stato invitato a nozze vent'anni prima, ma che 
          d'allora non si fosse mai tolti di dosso quai pantaloni da festa. Da 
          una spalla gli pendeva una zappettina dal ferro ricurvo e consumato 
          a forza di scavare a fondo per dissotterrare i tartufi.  
          "Prima vi farò vedere come faccio scuola ai cani, poi andremo 
          a cercare tartufi" disse il Professor Barot. Fuori dalla vista 
          dei cani, si curvò a terra e con la sua zappetta scintillante 
          scavò una buca in cui nascose qualcosa che aveva tratto dal taschino 
          del panciotto. Poi tornò indietro e sciolse un cagnolino lanoso 
          e scodinzolante, chiamato Frick. <<Pijlo, Frick>> 
          disse Barot a mezza voce <<pijlo, pijlo (piglialo, Frick, 
          piglialo).>> 
           
         
        CONTINUA...  
         
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